Tutti sappiamo che il lavoro del pedagogista e degli educatori a scuola è una specie di “missione impossibile”. Tra noi continuiamo a ripeterci che il lavoro educativo non è riconosciuto. Le poche proposte hanno condizioni contrattuali a volte insostenibili. Proviamo a capire il perché.
Questa situazione ha radici molto lontane nel tempo. Nel nostro paese è sempre stato difficile fare emergere la dimensione educativa della scuola. Fin dal dopoguerra il termine “educazione” fu sostituito dal termine “istruzione”. L’Italia non poteva avere una scuola in continuità con quella educativa del ventennio.
Nella scuola il lavoro educativo non è contemplato, si veda a tal proposito il CCNL Scuola che contempla le figure educative solo per i pochi convitti ed educandati. Stiamo parlano una cinquantina di strutture a livello nazionale con gli educatori sono concertati soprattutto nelle attività extra-didattiche. Così l’unico sistema per fare entrare queste professionalità nelle scuole è attraverso le cooperative con i problemi economi che conosciamo.
Poi ci sono le Università da un lato hanno sfornato migliaia di laureati con “titoli diversi” senza poi tutelare i “profili” creati. L’ultimo esempio di questa noncuranza riguarda i 24 Cfu. Nel frattempo altre professioni si sono affacciate sul mondo della scuola vantando specializzazioni o semplicemente spiegando una vicinanza teorica tra i problemi dei giovani e i problemi psicologici.
Il risultato lo conosciamo bene, nella scuola il lavoro educativo non è contemplato. Ma probabilmente qualche cosa sta cambiando.
La situazione che il nostro paese ha vissuto in questi mesi, le scuole chiuse, l’emergere di vere e proprie emergenze educative hanno favorito una riflessione anche in sede di Ministero.
Lo scorso anno il Ministro dell’Istruzione e le associazioni professionali che si occupano di pedagogisti ed educatori professionali socio-pedagogici hanno firmato un protocollo. Sembra un risultato modesto ma è un punto di partenza.
In questi giorno è stata presentata in Senato una proposta di legge per organizzare le scuole poli con personale educativo con una funzione di supporto. Le tematiche su cui dovrebbero intervenire queste équipe sono il sostegno e la comunità educante. Naturalmente stiamo parlando di una proposta di legge che dovrà avere il suo iter parlamentare ma sicuramente muove dei passi nella giusta direzione.
Nel frattempo IUSVE e UNIPED hanno organizzato un corso di alta formazione professionalizzante. Serve per acquisire competenze concrete per operare nelle scuole e con le scuole. Quindi i destinatari possono essere anche pedagogisti che operano nei doposcuola e insegnanti che decidono di acquisire competenze specifiche.
Da insegnante di liceo, ma ,anche da neuropedagista .sono pienamente d’accordo con il contenuto di questo articolo. Le evidenze neuroscientiche indicano che sempre più necessario l’interdisciplinarietà tra i diversi campi del sapere.
Spesso mi interrogo sull’argomento che nell’analisi trattata trovo puntuale… Una materia forse trattare, senza attirare strali da parte dei docenti, sarebbe quella di inserire veri corsi di supporto per gli insegnanti…Come trattare pragmaticamente il gruppo, come trattare con i genitori, come diventare autorevoli in classe e perché no anche come imparare dagli alunni stessi…Magari è una considerazione scomoda, forse ingenua ma mi sentivo di farla non da pedagogista ma da genitore…
Concordo e condivido ; peraltro quest’anno partiremo sperimentalmente con lo sportello pedagogico convinti come siamo della importanza di figure fortemente centrate sul
Versante pedagogico nella scuola !
Ma io mi chiedo perché posti per il sostegno tantissimi e prendono gente diplomata e noi con laurea e formati professionalmente dobbiamo far parte di cooperative. Mi chiedo chi ci marcia contro?perché esiste il profilo di PE ?chi ha deciso che dobbiamo andare nei convitti?Abbiamo la Laurea